Lettera aperta agli amministratori di Torino e ai mezzi di informazione
Una falsa alternativa per il Palazzo del Lavoro:
l’abbandono al degrado oppure un Centro commerciale
Da quasi 15 anni si discute del futuro del Palazzo del Lavoro alle porte di Torino nel parco di Italia ’61, fin da quando nacque la candidatura ai Giochi Invernali del 2006, o per lo meno da quando nel 2004 fallì la trattativa tra il Demanio e la Città di Torino per acquisirlo o averlo in concessione trentennale. Trasmesso l’immobile a Fintecna (poi Cassa Depositi e Prestiti) e costituitasi la società Pentagramma, compartecipata da Cassa Depositi e Prestiti- Immobiliare e GEFIM, è stato tutto un susseguirsi di annunzi in merito all’arrivo di grandi operatori: “El Corte Inglés”, il gruppo Corio ed altri soggetti, fino ad arrivare ai “mitici” investitori degli Emirati Arabi, ovvero la “finanza islamica”, il cui arrivo è ciclicamente annunziato ogni anno al MAPIC, la grande “borsa immobiliare” di Cannes.
Nel frattempo gli “sviluppatori” (parola di moda) non hanno arretrato di fronte alla richiesta di trasformarlo in un grande centro commerciale, cambiandone la destinazione urbanistica, con una prima proposta di variante urbanistica nata nel 2008, approvata dalla Città di Torino, successivamente cassata dal TAR e dal Consiglio di Stato, poi riproposta attraverso un Accordo di Programma tra Torino e Moncalieri, siglato alla fine del 2015 e approvato dal Consiglio Comunale il 18 gennaio 2016.
Tutto ciò mentre le cronache giornalistiche hanno continuato ad enfatizzarne lo stato di abbandono, prospettando come unica soluzione per salvarlo la trasformazione in un MEGA centro commerciale. Si legge sempre che l’abbandono “è colpa della burocrazia”, che ferma la scelta di riconvertire questo grande contenitore costruito per le celebrazioni dei 100 anni dell’Unità d’Italia da Palazzo del Lavoro a “Palazzo del Commercio”, che, secondo loro, dovrebbe generare grandi ricadute positive sul territorio, nuova occupazione, e recuperare il celebre manufatto di Nervi.
Ancora da ultimo “La Stampa” di domenica 12 novembre è uscita con due pagine intitolate “Il saccheggio di Palazzo del Lavoro”. Infine il 17 novembre. ancora una volta è stato annunziato un grande investimento di 150 milioni di euro proposto da parte di un fondo degli Emirati Arabi.
Sulla scelta degli operatori di trasformare Palazzo del Lavoro in centro commerciale Pro Natura Torino, altre associazioni ambientaliste e il “Comitato Italia Sessantuno” si sono espressi criticamente più volte in tutti questi anni, attraverso osservazioni in sede di adozione della variante urbanistica, di presentazione dell’Accordo di Programma e di verifica di assoggettabilità alla Valutazione Ambientale Strategica, facendo rimarcare diversi aspetti: gli effetti negativi sul traffico e la viabilità della “porta Sud” di Torino con l’incremento del flusso veicolare per decine di migliaia di auto (ora si parla addirittura di 5 milioni e mezzo di visitatori annui!), l’ulteriore compromissione del parco di Italia ’61, sempre più “urbanizzato”, l’abbattimento degli alberi di alto fusto che circondano il Palazzo, mentre l’area verde circostante verrebbe utilizzata per costruirvi i parcheggi interrati (la dotazione prevista è di 1.558 posti auto), e gli effetti negativi sul tessuto commerciale del quartiere.
Tutto ciò mentre in zona Lingotto si stanno delineando altre cospicue trasformazioni, come la nuova sede della Regione, il “Parco della Salute”, il raddoppio di Eataly, un parcheggio di interscambio in piazza Bengàsi, mentre manca del tutto uno studio sui flussi di traffico indotti che andranno sommandosi, che sarebbero per legge da valutarsi secondo i “principi di cumulo” introdotti dal Ministero dell’Ambiente nel 2015.
Inoltre è sempre più evidente che una delle condizioni sottoscritte nell’Accordo di Programma tra Torino e Moncalieri, ovvero la realizzazione di un sottopasso in corrispondenza della Rotonda Maroncelli, richiesta imprescindibile posta dalla città di Moncalieri, con un costo presumibile che supererà di certo i 15 milioni di euro, non vede attualmente risorse disponibili per la sua realizzazione (comunque critica per la complessità di carattere idrogeologico), né da parte della Città di Torino né da parte di Pentagramma. Ed allora, prima di affrontare l’approvazione di un Piano Esecutivo Convenzionato (che la proprietà dichiara essere di carattere migliorativo, in quanto ipotizzerebbe 4.000 metri quadrati a destinazione museale), occorre forse provare a rimettere indietro le lancette dell’orologio.
Riproponiamo quindi le stesse domande che già avevamo formulato negli scorsi anni: dove sta l’interesse pubblico nella realizzazione di una grande galleria commerciale all’interno del Palazzo del Lavoro, secondo la destinazione esclusiva ad ASPI prevista dall’Accordo di Programma? Perché “Cassa Depositi Prestiti – Immobiliare” (soggetto che dovrebbe operare nell’interesse pubblico) si comporta come un soggetto privato? Perché non è mai partito un progetto a regìa pubblica che coinvolgesse gli operatori privati? Perché non si sono mai approfondite tante ipotesi di riutilizzo vecchie e nuove, che potrebbero coesistere e cooperare mantenendo la destinazione originaria prevista dal Piano Regolatore (ovvero Attrezzature di Interesse Generale), senza indurre tuttavia insostenibili flussi veicolari, e realizzando eventualmente quote ridotte di parcheggi esclusivamente sotto sedimi stradali esistenti?
Elenchiamo solo alcune delle tante proposte emerse nell’arco di oltre un decennio: “Science Center” (Mercedes Bresso); un ampliamento delle strutture del BIT, che ha spazi ormai insufficienti; una sede dell’Agenzia dell’UNESCO per l’acqua (ex-ministro Frattini); un Museo del Lavoro (Carlo Ossola); un centro di scuola di restauro, esposizione degli archivi cartacei e di auto storiche (ASI); un Museo della Scienza e della Tecnica (che Torino non ha); una prestigiosa sede espositiva per “Artissima” (Ilaria Bonacossa); il Salone dell’Auto, il Salone del Libro, il Salone del Gusto, da attrezzarsi con strutture modulari in quanto attualmente privi di sedi adeguate e prestigiose. Tutto ciò non escluderebbe una buona quota di attività commerciali e di servizio, complementari ma non dominanti in questo contesto.
Certo, nessuna di queste ipotesi è di per sé esclusiva o risolutiva. Ma perché non provare a mettere intorno a un tavolo Cassa Depositi e Prestiti, Musei Regionali, Musei Civici, Museo dell’Auto, Lingotto Fiere, Politecnico e Università, UNESCO e BIT, Città della Salute e della Scienza, MIBACT e MUIR, con una regìa della Città, e provare a verificare la possibilità di collaborare a un progetto di interesse pubblico e di grande valore per la città di Torino e tutta la zona Sud, senza “smantellare” il parco di Italia ’61, e mandare in crisi tutta la viabilità della zona Sud con pesanti ricadute su Moncalieri?
Per fare ciò occorre superare una mentalità distorta, che domina ormai anche nei grandi mezzi di informazione: “Palazzo del Lavoro non è nostro”; “Palazzo del Lavoro è dei privati”; “Se non si fa una galleria commerciale continua il degrado”; “Porterà grandi vantaggi occupazionali e commerciali, nuovi flussi di visitatori”; “Valorizzerà il parco di Italia ’61 e il suo Laghetto“; “Farà introitare grandi oneri di urbanizzazione” (ma scaricherà la costruzione del sottopasso sui futuri bilanci finanziari della città di Torino e della SMAT); “Porterà grandi vantaggi alla Circoscrizione”; “Ci saranno compensazioni ambientali e verranno piantati nuovi alberi”; “Incrementerà il turismo”; etc. etc.
In sintesi, ciò che proponiamo è: riproviamo a ragionare.
Emilio Soave, vicepresidente e referente per l’urbanistica