Alla scoperta della Collina di Torino

La “Montagna di Torino”
Un ambiente di fitti boschi, rifugio di animali pericolosi, poco sicuro per chi si avventurasse, ma anche di forte impatto visivo nel contrasto tra la copertura forestale e la pianura antropizzata: queste dovevano essere probabilmente le impressioni di un viandante medioevale di fronte al paesaggio della collina. Le valsero l’appellativo di Montagna di torino : “Nel XIV secolo sarebbe stata follia l’avventurar la persona e la roba in residenze tanto selvaggie, e lontane da ogni speranza di soccorso”, dice lo storico Luigi Cibrario nel 1846. Tra il XIV e il XV secolo le costruzioni erano molto rare.
L’uso della collina come appendice residenziale della città inizia nel 1500 e si intensifica tra Sei e Settecento. Le attrattive del paesaggio, il ruolo di rifugio risparmiato dalle pestilenze, il clima più fresco in estate se confrontato con l’afa della pianura convinsero nobili ricchi piemontesi a costruirsi ville collinari. Ad esse venne attribuito il nome di Vigne, che ben rappresentava la duplice funzione di luogo di villeggiatura e fonte di reddito agrario nella coltivazione della vite, oltre che di frutta, ortaggi, cereali.

La trasformazione del paesaggio collinare

Dapprima l’utilizzo residenziale della collina è di iniziativa della corte sabauda: con il trasferimento della capitale da Chambery a Torino nel 1563, i duchi di Savoia danno avvio alla costruzione delle “residenze di delizia” esterne alla città, come il Valentino sul Po, il Regio Parco alla confluenza di Stura e Po, Mirafiori alla confluenza di Sangone e Po; nel territorio collinare, la Vigna di Cardinal Maurizio nel 1615 (poi della Regina) e quella di Madama Reale nel 1621.
I nobili, obbligati dalla corte a essere sempre presenti in città per le cure di governo, inventano la moda della villeggiatura in vigna. Più tardi ne seguiranno l’esempio i ricchi borghesi, interessati ai redditi delle proprietà collinari che nel’700 beneficiano dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli. Alla fine del 1700 sulla collina di Torino sono segnalate 391 Vigne. Il fenomeno della residenza in villa comporta una trasformazione del paesaggio collinare: dai pendii sono ricavati terrazzamenti sostenuti da muri, i cosiddetti “artefatti piani”, che ospitano l’impianto di giardini, aiuole con alberi da frutta, pergolati. La distribuzione delle Vigne non è strettamente legata all’andamento delle strade, ma piuttosto a un buon soleggiamento, una vista panoramica e alla conformazione del terreno, nel rispetto del paesaggio naturale circostante. L’attuale distribuzione delle strade e dei sentieri ricalca le storiche vie di transito che collegavano tra loro le Vigne e i possedimenti agricoli.

Colline emerse dal mare
Il paesaggio collinare che appare ai nostri occhi è il risultato di profonde modificazioni avvenute in fasi temporali inimmaginabili, se rapportate alla nostra personale esperienza del tempo.
L’assetto attuale prende forma circa 5 milioni d’anni fa, quando le acque del mare, innalzatesi per lo scioglimento dei ghiacciai, giungono fino al Piemonte attraverso l’attuale Pianura Padana. Argille e sabbie si depositano al di sotto del livello del mare mentre inizia a formarsi una piega degli strati rocciosi (anticlinale di Gassino) che si solleva dal mare in seguito a movimenti orogenetici, gli stessi che hanno contribuito al sollevamento di Alpi e Appennini.
Questo fenomeno si verifica per un periodo di tempo compreso tra i 5 e i 2 milioni di anni fa. I torrenti e i fiumi incidono la porzione di terre emerse, modellando il paesaggio. La forte azione erosiva del Po si manifesta sul versante della collina rivolto verso la città, rendendone più ripidi i pendii. La maggiore pendenza comporta un più alto rischio di dissesto idrogeologico, esponendo questi versanti a frequenti movimenti franosi. Per la sua natura geologica e per la morfologia del rilievo, la Collina torinese è dunque un ambiente fragile e potenzialmente instabile. il mantenimento della copertura boschiva e la regimazione delle acque di superficie assumono quindi una funzione molto importante nel contrastare l’erosione, insieme al blocco dell’espansione edilizia che nei decenni passati ha compromesso l’equilibrio collinare.

L’Anello Verde

L’idea di valorizzare il territorio collinare torinese e di collegarlo, attraverso una rete di sentieri e itinerari, con i parchi urbani e fluviali risale agli anni ’70.
Oggi questo grande progetto è una piacevole realtà: un percorso unico che si snoda tra parchi realizzati, parchi in progetto, aree di valore naturalistico ed emergenze storico-ambientali.
La città di Torino, oltre ad essere attraversata da quattro fiumi, ha la fortunata prerogativa di essere “difesa” a est da un sistema collinare che si sviluppa con asse nordest-sudovest e che, nel tratto torinese, raggiunge un’altitudine massima di 720 m al Colle della Maddalena. L’Amministrazione di Torino, che da anni è interessata da un progetto di valorizzazione del territorio, ha realizzato, tramite il Settore Verde Pubblico, con la collaborazione dell’Associazione Pro Natura Torino, il percorso pedonale denominato “Anello Verde”. Tale progetto costituisce, insieme a “Torino Città d’Acque”, un vero e proprio sistema del verde che unisce fiume e collina in un complesso continuo ed omogeneo, con caratteristiche differenti a seconda delle potenzialità naturali dei siti, ma con la comune peculiarità di essere a disposizione dei cittadini per una libera fruizione. Il percorso si sviluppa attraverso proprietà pubbliche esistenti, valorizzandole ed incrementandone le attrezzature di fruizione, e attraverso punti panoramici acquisiti in aree ad alta valenza paesaggistica, favorendo una fruizione pedonale più ampia della collina.
Gli obiettivi del progetto si sono focalizzati sulla riscoperta della sentieristica esistente (peraltro già recuperata grazie al Coordinamento “Sentieri della Collina Torinese”), e, in secondo luogo, sulla realizzazione di un percorso pedonale continuo che, partendo dalle sponde del Po (zona Valentino – Ponte Isabella) raggiungesse il parco della Maddalena (attraverso i Parchi Leopardi e San Vito) collegandosi poi a Superga (passando per Reaglie, Mongreno, Istituto Ottolenghi, Beria Grande), per poi ridiscendere al Po (zona del Meisino) attraverso Pian Gambino e Parco Millerose. Tale percorso è stato realizzato quasi interamente all’interno dei confini comunali e va ad intergare il sentiero di cresta già segnalato come Grande Traversata della Collina, ben conosciuto e storicamente consolidato.

Ricchezze naturalistiche

La copertura boschiva della collina torinese è costituita da querceti (rovere e roverella) e castagneti; boschi misti di querce, acero, tiglio, faggio, carpino e tra gli arbusti, biancospino e nocciolo; zone più fresche e umide con vegetazione igrofila, come l’ontano; zone abbandonate dall’uomo con specie di invasione come il rovo, e rampicanti come l’edera e la vitalba. Un cenno a parte merita la robina, importata dal Nord America e introdotta da Carlo Emanuele III dopo gli smottamenti dovuti all’alluvione del 1750, che, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, ha invaso le zone abbandonate e i boschi di castagno. Nei versanti a nord cresce localmente la farnia e il faggio. Si ritrovano anche specie tipiche degli ambienti mediterranei,che si sono affermate nei periodi caldi alternati a quelli delle glaciazioni: si tratta ad esempio del giglio caprino, la ginestra, il pungitopo. Nei freschi versanti nord-occidentali si trovano il giglio martagone, il mughetto, il mirtillo e il rododendro.

Spostando la nostra attenzione alla fauna, se passeggiamo nei boschi non è raro osservare rapaci diurni come la poiana, il nibbio, il gheppio; i picchi, verde e rosso, l’upupa, piccoli passeriformi come cince, pettirossi, fringuelli, merli. Nei querceti non è raro osservare le ghiandaie. Tra i mammiferi si trovano faine, tassi, volpi, scoiattoli. Il cinghiale è ormai presente su tutto l’arco collinare, anche nelle vicinanze dei centri abitati. Anfibi, come rane e rospi, e rettili (biacco, colubro di Esculapio e lucertole) sono avvistabili nei bluoghi giusti: i primi nelle zone umide, i secondi in luoghi caldi e soleggiati. Attenzione dunque, anche il luogo apparentemente più disabitato in realtà pullula di vita: basta avere occhi per osservare e pazienza di aspettare.

Patrimonio architettonico

Poche città vantano, come Torino, itinerari escursionistici a meno di due chilometri dal centro; pochissime offrono, durante tali passeggiate, una varietà di testimonianze storiche e culturali paragonabile a quelle presenti in un itinerario cittadino. Le passeggiate in collina consentono suggestivi punti di vista sulle Vigne, sulle cappelle private, sui muri di cinta in mattoni e ciottoli di fiume, sui gradini e il paesaggio agrario. Le costruzioni sono generalmente sobrie, a pianta rettangolare, con una disposizione regolare delle aperture. Perlopiù sono di origine Sei-Settecentesca, il periodo d’oro delle Ville coloniali, anche se possono aver subito rimaneggiamenti nel tempo, a causa di danneggiamenti dovuti alle guerre, o rifacimenti legati ai frequenti passaggi di proprietà. Molto rare sono le Vigne di epoca Ottocentesca.
Altrettanto rara è la cura scenografica e il gusto del paesaggio raggiunti nella progettazione di alcune ville “speciali”, come la Vigna di madama Reale, oggi Villa Abegg, o la Villa della Regina, le prime residenze reali proiettate al esterno della città. La Vigna di Madama Reale, “vigna delle delizie”, “il palazzo meglio architettato di tutta la Montagna di Torino”, apparteneva alla Duchessa Maria Cristina di Francia, Madama Reale appunto, che fece ristrutturare un edificio preesistente e vi si trasferì nel 1653; il fabbricato era inserito nella scenografia dei giardini all’italiana impostati sulla conca naturale della collina di San Vito, circondato da boschi dove vivevano animali selvatici ed esotici. Lo stesso gusto scenografico si ritrova nella Vigna del Cardinal Maurizio di Savoia, edificata nel 1620 su progetto attribuito ad Ascanio Vittozzi. La villa, non più utilizzata dal 1943 e in stato di abbandono, è oggetto di lavori di restauro.

La Basilica di Superga

Sagoma inconfondibile nel profilo della collina è, secondo la tradizione, la conseguenza di un voto fatto dal re Vittorio Amedeo II prima della decisiva battaglia contro i Francesi che assediavano Torino nel 1706.
In realtà rappresenta il segno celebrativo di una monarchia che si consolidava proprio in quegli anni.
Fu progettata da Filippo Juvarra con grande attenzione agli aspetti scenografici e con l’intento di farne un preciso punto di riferimento visivo nel disegno della città, come avverrà con il progetto del Castello di Rivoli e della Palazzina di Cacci di Stupinigi, dello stesso architetto. I lavori iniziarono nel 1717 e si conclusero nel 1731.
La notevole durata e la complessità del cantiere apportarono grandi benefici all’economia locale, con la richiesta di manodopera, mezzi di trasporto, materiali e prodotti alimentari. I materiali costruttivi della Basilica sono la Pietra di Gassino, un calcare affiorante dal terreno della collina torinese, e la calce forte di Superga, un tempo prodotta in fornaci locali.Orario di visita: da ottobre a marzo dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17; da aprile a settembre dalle 9.30 alle 12 e dalle 15 alle 18.

Un insolito mezzo di trasporto

E’ la tranvia a dentiera che in venti minuti supera i 400 metri di dislivello tra il piazzale di Sassi e la Basilica di Superga, con pendenze dal 7 al 20 per cento. E’ un impianto di trasporto storico per la città di Torino, inaugurato nel 1884 e azionato all’epoca da una motrice a vapore. Insieme alle caratteristiche stazioncine dislocate lungo i 3130 metri di linea, la tranvia è una delle ultime testimonianze di mezzi di trasporto che ben si inseriscono in ambiti di grande valore paesistico, come quello della collina. I convogli partono ogni 20 minuti e la capienza massimo per ogni viaggio è di 120 passeggeri.

 

Commenti chiusi