Gli incendi che dal 22 ottobre hanno interessato e continuano a interessare la provincia di Torino mentre scriviamo, in particolare la Valle di Susa, in cui il fuoco ha devastato mille ettari ed ha distrutto oltre la metà di una delle più importanti riserve naturali del Piemonte, quella dell’oasi xerotermica di Foresto, impongono un’attenta riflessione sulla ristrutturazione della forza pubblica che ha tolto l’ex Corpo Forestale dello Stato, ora carabinieri forestali, dalla gestione operativa degli incendi boschivi.
I Vigili del Fuoco hanno fatto e fanno un ottimo lavoro, ma la gestione degli incendi boschivi, cioè il loro controllo affinché non si verifichino determinate situazioni di pericolo e si salvaguardi il patrimonio forestale e ambientale, non è il loro lavoro o, perlomeno, quello di cui possono avere la direzione.
Questo era il compito del Corpo Forestale dello Stato, ora assorbito nell’Arma dei Carabinieri con altri incarichi.
La Forestale sapeva gestire i movimenti degli incendi boschivi, in stretta collaborazione con le squadre di volontari AIB (Anti Incendi Boschivi) presenti in quasi tutti i comuni montani, e conosceva la mappatura delle aree boscate dove il fuoco poteva alimentarsi e poi travalicare, con effetti incontrollabili e devastanti. Gli effetti di questa assenza si sono visti in questa circostanza: il fuoco è lentamente avanzato controvento per oltre quattro chilometri e non è parso sia stata percepita adeguatamente la possibilità che ciò potesse avvenire.
Così, nel tardo pomeriggio di domenica 22 ottobre, il fuoco è entrato nel vallone di Falcimagna del rio Moletta e lo ha distrutto durante la notte. Lunedì mattina sembrava entrato in una fase quiescente ma, con il tempo, ha avuto modo di trovare delle aree boscate che erano state risparmiate, riprendere enorme forza ed entrare nel vallone del Rocciamelone, la Caporetto di tutti gli incendi boschivi di quest’area, dove, continuando, avrebbe potuto minacciare i boschi di conifere del Rocciamelone, portando il disastro ad effetti apocalittici.
Come ambientalisti, a noi spetta di ricordare i valori della rarissima biodiversità incenerita, del paesaggio d’eccellenza distrutto e del grave rischio idrogeologico accresciuto ora che in questi valloni (già ad altissimo rischio idrogeologico) è andata perduta la vegetazione che ne tratteneva i ripidissimi versanti.
L’obiettivo insuccesso di questo intervento, comparato con la decina di grandi incendi che si sono verificati in quest’area negli ultimi cinquant’anni, allora affrontati con una disponibilità di mezzi enormemente minore, porta Pro Natura Piemonte a formulare un pressante appello affinché siano restituite ai carabinieri Forestali le funzioni di prevenzione e gestione degli incendi boschivi prima che qualche altro gesto, probabilmente doloso, possa intaccare altre aree protette, in particolare quelle dove l’abbondante massa vegetale, prevalentemente di conifere, potrebbe portare ad avere effetti irrimediabili e ancora più devastanti.
Mario Cavargna, presidente Pro Natura Piemonte