Secondo le recenti notizie di stampa, il direttore generale di TELT (Tunnel Euroalpin Lyon Turin), acronimo della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, Mario Virano, emanerà entro il 2019 dei bandi di gara internazionali per 5,5 miliardi di euro di lavori. Un volume di 350 milioni di euro, cioè il 6%, costituirà le briciole riservate alle piccole e medie imprese, mentre il 94% sarà la parte riservata ai colossi del settore.
Al di là delle nostre valutazioni negative sull’opera, ci preme sottolineare che le risorse dichiarate non esistono e questo potrebbe provocare molti disagi alle imprese che volessero accettare l’impegno.
Il contributo dell’Unione Europea va di pari passo al cronoprogramma e scade il 31 dicembre 2019. Nei sei mesi del 2019 che resteranno al momento della definitiva aggiudicazione dell’appalto la possibilità di spendere somme comprese in questo elenco prima della scadenza definitiva del termine sono quasi inesistenti; la partecipazione della Unione Europea dopo il 2019 non ha né certezze né impegni, perchè è l’Unione Europea stessa che non sa cosa farà.
La Francia non ha predisposto alcun piano finanziario e ancora a gennaio 2017, alla ratifica dell’ultimo accordo italo-francese, la relazione illustrativa chiariva ai 12 deputati presenti che il voto che il Governo chiedeva loro era per iniziare l’opera, non per riservare delle cifre nel bilancio dello Stato: infatti queste cifre ancora non esistevano, ma i deputati non dovevano dubitare che lo Stato francese sarebbe stato in grado di trovare 150 milioni di euro all’anno quando fosse necessario.
Il problema è che la maggior parte di questi fondi si continua a prevedere di ricavarli dalla tassa sui veicoli pesanti che transitano al Frejus e al Monte Bianco: è una storia vecchia di 10 anni, che è sempre stata riscontrata inattuabile perchè, nella situazione attuale, quanto lo Stato riuscisse a prelevare da un lato, dovrebbe poi renderlo dall’altro.
Resta l’Italia, che alla delibera del CIPE dell’agosto 2015 ha accertato l’esistenza di fondi stanziati dal governo Monti per 2,6 miliardi. Ma da quella data al 31 dicembre 2018 il Grant Agreement sottoscritto da Italia, Francia e Unione Europea prevede per l’Italia di aver già speso per la sua quota 630 milioni e altri 300 milioni nella prima metà del 2019, che quindi non sarebbero più disponibili per i nuovi appalti e ridurrebbero le disponibilità effettive a 1,7 miliardi di euro.
In realtà queste disponibilità non sono in cassa, ma in importi di 150 milioni all’anno, scaglionati per i prossimi 10 anni a venire sino al 2029.
Fatti bene i conti si può dire che TELT, quando emanerà questi famosi bandi nel 2019, non avrà in cassa 5,5 miliardi di euro, ma probabilmente solo 200 o 300 milioni, poco più di quanto si prevede per difendere il cantiere, o perchè sono già stati spesi come da cronoprogramma, o perchè sono scaduti o scadranno di lì a pochi mesi, oppure perchè ancora da avere negli anni futuri.
Ma c’è un ulteriore elemento che dovrebbe preoccupare le imprese che partecipano al “Road Show” di TELT che, si noti bene, non è una “road map” e cioè un piano di impegni.
Il meccanismo messo in piedi con il Promotore Pubblico TELT fa sì che gli Stati abbiano un impegno reciproco, ma non verso TELT che, verosimilmente, potrebbe fallire e non pagare le aziende coinvolte, senza coinvolgere Italia, Francia e Unione Europea.
In mancanza di altri patti specifici, il Grant Agreement del 25 novembre 2015 stabilisce che ognuna delle parti può recedere per cause di “forza maggiore” e all’articolo 16 che “nessuna delle parti in causa ha diritto di chiedere compensi a causa della rescissione di un’altra parte in causa“. Per rendere meno tranquille le imprese che decidessero di concorrere alla Torino-Lione, c’è il parere espresso dall’Audit commissionato dal governo francese all’Ispettorato Generale delle Finanze e al Consiglio Generale di Ponti e Strade nel 2003; il parere ricorda che l’impegno tra gli Stati vale sulla clausola di evitare la saturazione dei valichi esistenti: se questa non c’è anche l’impegno è facoltativo, tenendo presente che questa clausola, pur non essendo più stata richiamata, non è stata mai abolita nei successivi trattati.
Mario Cavargna, presidente Pro Natura Piemonte