L’intervista del ministro Passera in favore della Torino-Lione Alta Velocità occupa le prime tre pagine de “La Stampa” del 6 marzo. Non si ricorda un rilievo analogo, per qualsiasi altra intervista del passato e questo rende bene l’idea dello sforzo che viene fatto per coprire i reali dati di fatto con slogan propagandistici.
Proviamo a fare un rapido commento, ma prima aggiungiamo un’osservazione a parte: la costruzione della Torino-Lione non è una progettazione tutta decisa, come sembra nell’udire le parole del responsabile delle Infrastrutture: l’ultimo accordo italo francese, siglato a Roma il 30 gennaio 2012, che riassume tutti i precedenti, nel preambolo dice testualmente: “il presente accordo non ha come oggetto di permettere i lavori definitivi della parte comune italo-francese”.
Questo significa che, al di là della retorica, in 20 anni i governi italiano e francese non hanno ancora deciso se farla. E se il governo francese, per il momento, si accoda ancora al nostro è solo perchè quello italiano si è impegnato a pagare il 60% del tunnel di base, nonostante solo 13 km su 57 siano in territorio italiano.
Una grande opera in tempi di crisi non è un vantaggio, ma è sempre un danno, quando lo Stato è nelle condizioni di dover ridurre drasticamente il suo indebitamento. La drammatica crisi della Grecia, a seguito delle Olimpiadi, è un esempio significativo di cosa significa “gettare via i soldi”, quando le casse dello Stato sono vuote.
Non è vero che il progetto del 2005 (in realtà, del 2003), in sinistra Dora, aveva delle pesanti conseguenze ambientali ed un insufficiente dialogo con la popolazione, ma che tutto questo è stato superato con il progetto del 2010 in destra Dora. Dal punto di vista dell’impatto ambientale e sanitario, i due progetti sono ugualmente devastanti, anche perchè gli elementi centrali di questi impatti, cioè le polveri, viaggiano nell’aria e non cambiano spostandosi da un versante all’altro.
Per il progetto in sinistra Dora si era riusciti, alla fine, a far riconoscere il problema della presenza dell’amianto. Per il versante destro semplicemente mancano le analisi, anche se la presenza è localmente sicura nella lunga galleria dell’Orsiera ed è chiaramente rilevata nell’unico esame condotto per la galleria nella collina morenica. La quantità potrebbe essere minore ma, in compenso, in quest’ultimo progetto è aumentata la popolazione direttamente coinvolta. Nel complesso siamo nella stessa situazione in cui ci trovavamo nel 2003-2005. Ma rispetto ad allora non solo il dibattito ed il confronto con la popolazione non sono aumentati, ma sono addirittura diminuiti!
I tantissimi incontri tecnici che si erano svolti presso la Regione Piemonte tra il 2002 ed il 2005, avevano certamente avuto l’handicap della negligenza dei nostri interlocutori che sino all’ultimo avevano negato la presenza dell’amianto e degli elementi di assurdità del progetto, ma almeno erano esistiti. L’Osservatorio, al contrario, è stato un “club” blindato auto referenziale da cui gli amministratori e gli abitanti sono stati radicalmente esclusi, anche se ha conclamato una partecipazione mai esistita. Il progetto che ne è nato è così assurdo e devastante che dopo 6 anni l’opposizione, nonostante il governo abbia fatto tutto il possibile per confonderla e tacitarla, è riemersa più forte e più determinata di prima!
Il ministro Passera mette la linea del Frejus esistente tra le infrastrutture obsolete e la descrive come quella nata nel 1871. Evidentemente è rimasto centoquaranta anni in ritardo sugli aggiornamenti, altrimenti saprebbe che si tratta di una linea modernissima: il binario di salita è stato terminato solo nel 1984, e nel 2011 la galleria è stata portata tutta alla sagoma P/C 45, che è la sagoma massima di tutta la rete ferroviaria francese e di quella italiana (ad eccezione dell’asse del Brennero). Questa linea modernissima che potrebbe tranquillamente trasportare 20 milioni di tonnellate al valico, oggi, nonostante tutti i miglioramenti, porta solo 4 milioni di tonnellate. Il motivo è il decennale crollo del traffico transalpino tra Italia e Francia dopo che la Svizzera ha riaperto le sue frontiere ai transiti dei TIR. Di conseguenza è crollato anche il trasporto merci dei tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco che sono calati del 30% in dieci anni e tendono a scendere ancora. Di conseguenza dovrebbe spiegare il vantaggio di spendere 18 miliardi di euro (di solo preventivo) “per raddoppiare la capacità del traforo ferroviario del Frejus” (sic) quando da dieci anni essa è meno di un quarto di quanto dovrebbe transitare e non mostra alcun segno di ripresa!
L’Osservatorio non ha mai valutato la caduta dei traffici che interessano l’arco alpino italo francese, (facilmente consultabile sul sito internazionale ALPINFO) altrimenti avrebbe dovuto ammettere che l’opera è inutile (e quindi dannosa in quanto disperde risorse da impiegare altrimenti).
Non è vero neppure che ci sia un risparmio di energia e di costi di trasporto: dal punto di vista energetico quest’opera è uno spreco infinito sia per la costruzione (per la parte italiana: 17 milioni di metri cubi di roccia da estrarre, 6 milioni di metri cubi di cemento, un milione e mezzo di tonnellate di acciaio). Il costo del pedaggio da chiedere agli utenti penalizzerebbe proprio quel commercio che si dice di voler incentivare.
Va anche sfatata la favola che l’opera sia promossa dall’Unione Europea. Come NO TAV abbiamo avuto in questi anni la possibilità di numerosi contatti sia a Strasburgo che a Bruxelles, compreso un lungo incontro privato con il vicepresidente dell’Unione Europea Barrot, nella sua veste di commissario europeo alle infrastrutture. Nella sostanza ci è stato spiegato che l’Unione Europea non decide, ma “amministra” le richieste degli Stati. Per loro è sufficiente la lettera con cui i governi italiano e francese informano di aver scelto di presentare quest’opera. I giudizi di merito sull’opera spettano agli Stati, l’UE verificherà solo il buon esito del contributo finanziario.
La conclusione la lasciamo ad un articolo comparso su “Sole 24 Ore” il 31 gennaio 2012, che illustra uno studio costi-benefici compiuto al Politecnico di Milano “se il nostro vicino fosse stata la Gran Bretagna e non la Francia questo tunnel non verrebbe mai fatto”.
Oltre che inutile dal punto di vista macroeconomico, l’opera rappresenterebbe un grave danno anche per il territorio che la dovrebbe ospitare, a motivo degli impatti socioeconomici che comporta un cantiere la cui lunghezza è inversamente proporzionale alla possibilità di trovare i soldi per terminarlo. A questo si aggiungerebbero i pesanti rischi sanitari (non solo amianto ma tutto lo spettro degli inquinanti, con PM 10 in testa), ammessi dagli stessi proponenti, di cui il ministro sembra non essere informato. Ed il fatto che la popolazione interessata debba consolarsi credendo all’esistenza di turisti che prendono il TGV da Londra e Parigi per scendere a Susa, è un’ipotesi che offende la sua intelligenza.
Sono molto da ridimensionare anche i risparmi di tempo: il miglioramento è solo di circa un’ora perchè dopo aver risparmiato 20 km, la linea compie un giro di 10 km per andare ad Orbassano dove la sua velocità scende a 120 km orari! Quest’ora di risparmio non vale certo 20 miliardi di euro per un traffico passeggeri anch’esso in continuo calo di fronte alla concorrenza dei voli low cost.
Un’ultima parola sull’opposizione della popolazione. Se una popolazione civile, con un altissimo numero di tecnici e di laureati, continua a resistere ed a sacrificarsi vuol dire che ci crede e poiché è quella che più di ogni altra conosce i trasporti ed il territorio dell’area in questione, vuol dire anche che sa molto bene di cosa si parla.
Sarebbe ora che il Governo si buttasse alle spalle il teatro dell’Osservatorio e tornasse a confrontarsi come si era cominciato a fare nel 2003-2005. Forse capirebbe di nuovo che è necessario cambiare, ma questa volta per davvero!
Mario Cavargna