Abbiamo appreso con soddisfazione, alla metà di dicembre dello scorso anno, a nome del suo amministratore delegato, che Zoom ha finalmente rinunciato a procedere verso la stipula della convenzione con l’Amministrazione Comunale che avrebbe portato alla trasformazione del parco Michelotti in un Bioparco, attraverso una procedura a lungo contestata in questi due anni dalle associazioni ambientaliste e animaliste, da tanti comitati spontanei e da tanti cittadini: ovvero una “concessione per valorizzazione” di durata trentennale, rinnovabile per altri venti, che avrebbe di fatto sottratto il parco alla libera fruizione pubblica, riproponendo inoltre un modello superato ispirato alla memoria del vecchio Zoo, chiuso fortunatamente nel 1987.
La rinuncia è avvenuta di concerto con l’Amministrazione Comunale, che diversamente si sarebbe peraltro trovata nei prossimi anni di fronte al fallimento di un progetto sovradimensionato e insostenibile dal punto di vista ambientale, in un tratto di sponda fluviale tutelato da decreti ministeriali e inserito nel Piano Paesaggistico Regionale approvato in via definitiva lo scorso anno, con grossi problemi di traffico e accessibilità e la previsione di 300.000 visitatori annui.
A conclusione della vicenda, che ha visto tra l’altro presentare da parte delle associazioni un ricorso al TAR non ancora discusso nel merito, possiamo solo dire che dal 2014 ad oggi, correndo dietro a Zoom, si sono persi quasi 3 anni, nel corso dei quali il parco avrebbe potuto essere opportunamente recuperato all’uso pubblico da parte della città invece di essere lasciato all’abbandono.
A questo punto si tratta di recuperare il tempo perduto senza ulteriori indugi.
Ricordiamo che dopo gli anni di incertezza seguiti alla chiusura del vecchio Zoo, tra il 1994 e il 1996 la Città investì 1 miliardo e 200 milioni di vecchie lire per aprire il Parco Gio, sistemare a parco tutta la parte a Nord del Rettilario, rifacendo rete idrica e fognaria, sistemare l’impianto di illuminazione, piantumare e attrezzare le aree verdi, collocare fontanelle, mettere in sicurezza la vegetazione e le alberate esistenti. Ciò fu presentato ufficialmente come primo lotto di intervento del Progetto Torino Città d’Acque, rinunciando saggiamente ad una proposta allora pervenuta da operatori romani di collocarvi un “Bioparco”, di cui Zoom ci parve una proposta ancora più invasiva, con la presenza di fauna esotica.
Riaperto il parco al pubblico nel 1996, subentrò un periodo di incertezza, allorché il Michelotti ospitò la mostra Experimenta promossa dalla Regione, rinnovata fino al 2005, unitamente ad altre iniziative tematiche ed espositive legate all’ambiente fluviale. Dopo il 2005 venne richiesto invano di costruire un progetto unitario per il Michelotti, che si veniva trasformando nel frattempo in un disordinato condominio senza regole, e attività rumorose di intrattenimento, con l’eccezione del Parco Gio, a lungo intensamente fruito dai bambini. E così si persero altri anni preziosi, mentre i cittadini stavano perfino dimenticando che dietro muri e recinzioni c’era un parco pubblico, che veniva pure stralciato dai piani di ordinaria manutenzione da parte della Città.
Oggi infine sembra di essere all’anno zero, ma occorre ripartire dall’esistente. Gli investimenti fatti in passato possono essere recuperati e riutilizzati, e la base di partenza non è il 1987 (chiusura del vecchio Zoo), ma la realtà odierna, su cui occorre intervenire d’urgenza prima che si incrementi l’abbandono.
Occorre a nostro parere che il Michelotti sia oggetto di un programma di Manutenzione Straordinaria, articolato presumibilmente in un biennio o triennio, sulla base della disponibilità di risorse da iscrivere a Bilancio, che abbia al suo centro soprattutto interventi di coraggiosa demolizione di tutte le strutture precarie realizzate in questi anni e di gran parte dei reliquati del vecchio Zoo, a partire da quelli come l’Ippopotamo che ostruiscono la vista del fiume, e dall’abbattimento dei muri del vecchio Zoo sostituibili con recinzioni leggere o siepi. Certo, i costi di demolizione e smaltimento sono rilevanti, ma possono essere attuati anche per lotti, mano a mano che procede la progressiva riapertura al pubblico del Michelotti, da Nord (dall’area dell’ex-Ippopotamo) e da Sud (dal parco giochi esistente). Due sono gli assi portanti: il recupero dello storico viale di platani (doppio filare) che costituiva fino alla costruzione dello Zoo un passeggiata continua che andava dalla Gran Madre fino a Sassi, intensamente fruita dai cittadini, un grande “parco lineare” ai piedi di corso Casale, aperto anche ai collegamenti con i percorsi collinari; e la riapertura di un’altra splendida passeggiata lungo la sponda del fiume sotto il viale dei Ginko Biloba (con i suoi colori autunnali), riaprendo le visuali sul fiume. La “messa in sicurezza” e la potatura delle alberate non sono un onere di grande rilievo, a fronte del vantaggio per la fruizione pubblica di un vasto parco urbano affacciato sul fiume.
Per quanto riguarda gli edifici esistenti, fatto salvo quanto potrebbe servire ad un ampliamento della Biblioteca Geisser, e il complesso Acquario-Rettilario, da adibire a funzioni utili al parco (caffetteria, ristorazione, sale espositive, piccole iniziative teatrali e musicali), occorre provvedere con coraggio alle demolizioni, cancellando per sempre la memoria del vecchio Zoo, che costituì solo una parentesi (durata all’incirca trent’anni) nella storia del parco. Forse a quel punto si smetterà di chiamarlo il parco dell’ex-Zoo per riprendere a chiamarlo Parco Michelotti, e si smetterà di produrre “concorsi di idee”, come se si volesse continuare a rinviare una scelta coraggiosa in capo all’Amministrazione Comunale, e non a privati operatori.
Emilio Soave, vicepresidente e referente per l’urbanistica