Il TAV e l’Osservatorio

L’Osservatorio nasce sostanzialmente dalla riunione del tavolo politico del 9 novembre 2006, a sua volta scaturito da un impegno preso sull’onda dei fatti del 2005. In quel momento la situazione è critica, incalzano le riunioni della Conferenza dei Servizi voluta e guidata con decisione dal ministro delle infrastrutture Di Pietro.

L’onorevole Napoli ha appena sparigliato le carte buttando sul tavolo, per così dire, l’alternativa della Val Sangone, per diminuire la forza contrattuale dei sindaci della Bassa Valle di Susa. Nell’incontro di Roma, i sindaci coordinati dalla Comunità Montana della Bassa Valle, chiedono al Governo l’istituzione dell’Osservatorio e la sospensione della Conferenza dei Servizi sino al termine dei suoi lavori. Ed in un continuo di alti e bassi, la richiesta viene accolta.

Dal punto di vista dei risultati l’Osservatorio ha mancato le attese del territorio. I quaderni hanno ammesso qualcosa di quello che era impossibile nascondere, ma poi i modelli usati, le audizioni e le relazioni hanno manipolato l’inimmaginabile per valicare la tesi del tunnel di base. Il dialogo dei tecnici è stato usato e strumentalizzato in tutte le sedi, anche in quella dell’Unione Europea, per dimostrare che le cose andavano avanti e per spianare la strada alla concessione dei finanziamenti comunitari.

Il presidente si è inventato una serie di strumenti anomali, come il lancio di proposte–non proposte, chiamate “suggestioni”, e l’autocertificazione dei risultati raggiunti, che hanno creato infiniti imbarazzi, e dimostrato che né i sindaci né i tecnici sono in grado di controllare il percorso di questo organismo. Di qui il vasto movimento che ne ha richiesto l’uscita e che, alla vigilia delle elezioni, aveva coinvolto circa la metà degli amministratori della Bassa Valle.

Qualsiasi posizione si voglia prendere sull’Osservatorio deve partire dalla premessa che i dati prodotti e che sta producendo sono frutto di forzature e di omissioni tecniche inaccettabili.

Di lì in poi le strade possono essere due: quella di chiedere di uscirne, avendo però la coscienza che poi si ritorna all’ingranaggio della conferenza dei Servizi, che può far molto più male di questo “re travicello”, oppure quella di lasciarla andare avanti, sperando che le sue stesse contraddizioni allontanino il tempo in cui si dovrà tornare a discutere di un progetto effettivo sul territorio.

Quel che ci si può augurare è che in questo dibattito siano evitati gli eccessi, da una parte quello di considerare poco meno che traditori quelli che sono per la sua continuazione, dall’altra quello di attribuirgli dei meriti che, obiettivamente, non ha.

Mario Cavargna

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