Chi ha scaricato l’amianto (e altro) a Salbertrand?

Pubblichiamo il testo di un esposto presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino da parte di Pro Natura Piemonte, a firma del presidente pro tempore Mario Cavargna e del coordinatore di segreteria Emilio Delmastro, per cercare di far luce sulla questione del deposito abusivo di materiali contenti amianto situato nel comune di Salbertrand, noto da anni e più volte sequestrato.


L’8 novembre 2019 il quotidiano “La Stampa” ha dato notizia a pagina completa di un deposito abusivo di rocce amiantifere sotto il titolo “Sequestrata dalla Guardia di Finanza la montagna di amianto che blocca il cantiere Tav”; il giorno successivo, 9 novembre, con una procedura inconsueta ha nuovamente dedicato una pagina intera alla notizia, confermandola e certificandola sotto il titolo: “A Salbertrand bomba all’amianto da disinnescare”. Gli articoli si riferiscono al “cumulo di rocce contenenti amianto” depositate nell’area che dovrà essere occupata dal cantiere per la Torino Lione. Nel primo articolo il quotidiano afferma che si tratta di circa 10.000 metri cubi facenti parte di un complesso di conferimenti a discarica effettuati da più di 20 anni da ditte collegate ad Itinera che ha in concessione quest’area dal 2006 al 2024. Nel secondo dice che “quasi sicuramente” i costi della bonifica non saranno più addebitati ad Itinera, ma se li accollerà Telt, la società che dovrebbe costruire il tunnel di base della TAV.
Localmente la cosa era nota: il deposito in questione è già stato oggetto di due sequestri e due dissequestri senza che si fosse arrivati ad una soluzione. Ma, nonostante questa attenzione, il cumulo è rimasto allo scoperto per 8 anni ed è stato ricoperto da teli di plastica solo a fine 2017, quando il movimento No Tav ha cominciato ad interessarsene, a seguito della scelta dell’area per il cantiere di base.
Un primo sequestro era stato effettuato nel 2010 con la  motivazione di deposito di rifiuti pericolosi, poi l’area è stata dissequestrata dal TAR nel 2011. Nel 2013, persistendo la medesima situazione, il cumulo è stato nuovamente sequestrato per poi essere dissequestrato nel 2015 affinché si potesse procedere alla bonifica. Da allora l’Itinera, a cui era stato imputato l’onere della bonifica, in quanto titolare della concessione ha presentato un progetto per “tombare” le rocce di amianto sotto una piattaforma per l’atterraggio degli elicotteri, che ha trovato ostacoli alla autorizzazione fino a quando si è arrivati al nuovo sequestro del 2019, effettuato dalla Guardia di Finanza nell’ambito della sua azione di tutela dell’ambiente, di cui “La Stampa” ha dato notizia a novembre.

La questione che qui si espone non riguarda il tortuoso percorso di bonifica, tutt’ora ancora da definire, ma l’individuazione di chi ha commesso il grave reato, la possibilità che resti impunito ed impunibile, ed il contesto particolare in cui è avvenuto l’atto criminoso.

In tutta questa complessa vicenda non è stato possibile trovare né negli articoli di stampa né altrove, delle tracce di una inchiesta su chi e come ha portato questi almeno 1.000 camion di rocce amiantifere e da dove provengano. Questa situazione sarebbe confermata dal fatto che, in mancanza di un preciso responsabile, le ingiunzioni di bonifica del 2010 e del 2013 siano state indirizzate ad Itinera come concessionaria del luogo di deposito, e poi che, in ultimo, Itinera stessa  ne sia stata sgravata accollando gli oneri a Telt con una speciale assegnazione di fondi pubblici. In generale si coglie la sensazione di un orientamento a lasciar cadere tutto in prescrizione.
La già pesantissima gravità del fatto si accentua in Val di Susa, alla vigilia di imponenti e contestatissimi lavori per la nuova linea ferroviaria Torino Lione, per la domanda implicita che pone questa vicenda. Se è stato possibile abbandonare questo enorme quantitativo di rocce amiantifere proprio qui e con tutta la attenzione che ora c’è per questo problema, quale affidabilità si può dare alle promesse che vengono fatte per lavori futuri per i quali si promette una attentissima selezione e lo smaltimento di ogni fibra di amianto, sia per quanto riguarda il cantiere sia i depositi di Caprie e Torrazza? Soprattutto tenendo presente che, con l’inizio dei lavori, tutte queste zone verranno rese perennemente inaccessibili ai cittadini interessati al controllo mediante l’uso di doppie file di reti e reticolati e di sorveglianza armata?
E’ necessario ricordare che il rinvenimento di amianto nello scavo del tunnel di base comporterebbe il fermo prolungato di un cantiere che costa mezzo milione di euro al giorno e la necessità di scavare nuove gallerie di deposito il cui tempo di realizzazione si misura in qualche anno. Pertanto la situazione oggettiva del cantiere potrebbe diventare un incentivo a delinquere, se ora c’è stato chi già lo ha fatto con tanta sfrontatezza.
La concreta prospettiva che ci si avvii alla prescrizione su quanto è avvenuto a Salbertrand, spinge a chiedere alla Magistratura una severa indagine sulla storia di questo conferimento di rocce amiantifere, in modo da appurare se esistono termini ancora impugnabili.

Senza poter fare delle imputazioni specifiche, in un contesto in cui i ritrovamenti di amianto non sono un caso isolato, va segnalato che una delle più accreditate origini di questo materiale è la galleria di Cesana-Clavieres.
Si tratta di un’opera che faceva parte del finanziamento dello Stato per i Giochi olimpici dello sci di Torino 2006. I lavori di scavo presero avvio nel 2005 e, come la maggior parte di queste opere, non furono terminati per i giochi. Ripresero subito il termine dei Giochi e, dopo pochi mesi, vennero interrotti per il rinvenimento di rocce contenenti amianto.
Il 23 novembre 2006 è il settimanale locale “La Valsusa” il primo a dare notizia del ritrovamento effettuato negli ultimi 80 metri (!) della galleria, segnalando la protesta di “Montagne Nostre” che denunciava il silenzio sul blocco dei lavori effettuato a luglio dall’Arpa. “La Stampa” ne dà notizia un anno dopo, il 17 luglio 2007 in occasione della inaugurazione di una galleria gemella, precisando che l’affioramento di amianto è stato subito coperto di cemento. Il 10 settembre 2008, il quotidiano è più generoso di notizie e dice che il ritrovamento “non segnalato dalle prospezioni geologiche”, era avvenuto “improvvisamente negli ultimi 150 metri” (!), e che è già pronto il progetto per lo stoccaggio di 34.800 metri cubi di smarino contenente amianto, in circa 10.000 cassoni di cemento. Il cronista non fa caso che questo quantitativo di smarino corrisponde allo scavo di 245 metri (!) di galleria e ciò significa che era stato trovato ben prima di quanto affermato, e magari anche prima degli ultimi 250 metri. Lo stoccaggio comprenderà anche 14.000 metri cubi di fanghi di depurazioni ed altro materiale contaminato.
“La Stampa” del 23 febbraio 2012 fornisce un particolare inquietante. Era previsto che lo smarino esistente nel cantiere, che era necessario sgomberare per riprendere i lavori di scavo, fosse rimosso da una ditta francese e portato in Francia, ma il prefetto di Gap non lo autorizzò. Pertanto venne incaricata una ditta locale che effettuò lo sgombero portando a Salbertrand il materiale “adatto alla vendita” per calcestruzzi, mentre quello contaminato da amianto venne destinato ad essere collocato in una galleria di deposito, il cui scavo però non poteva cominciare prima di portar via questo stesso smarino.
Lo sgombero deve esser stato portato a termine perchè la galleria di Cesana venne finalmente inaugurata a dicembre 2014. Ci erano voluti dieci anni ed un raddoppio dei costi da 30 a 56 milioni di euro per realizzare una opera di 1.850 metri.
Nella ricostruzione possibile attraverso gli articoli di giornali, derivati a loro volta da comunicati stampa, ci sono dei vuoti e delle discordanze di cifre che generano forti sospetti: si potrebbe dedurre che il reato di abbandono di rifiuto tossico nocivo potrebbe esser stato commesso ancora nel 2012 e quindi che sarebbe ancora perseguibile se la Magistratura volesse mostrare che in Val Susa, per le imprese che lavorano alle grandi opere, non vige una sostanziale immunità.
Come già detto il problema dell’individuazione di un responsabile diventa essenziale perché riguarda il controllo e le garanzie ambientali di un territorio dove dovrebbero essere avviati i lavori per il tunnel di base ed una linea ferroviaria ad Alta Velocità. In altre parole: quali garanzie possono attendersi i 100.000 abitanti interessati dai lavori della futura linea e quelli dei siti di deposito di Caprie e di Torrazza se a Salbertrand, è stato possibile scaricare impunemente 1.000 camion di rocce amiantifere per le quali nessuno si preoccupa di trovare un colpevole per contestargli il reato penale dello scarico e dell’inquinamento, oltre ai costi della bonifica?
Cosa succederà quando saranno scavate rocce analoghe in un cantiere che, con la scusa dell’interesse strategico”, viene sottratto persino alla visibilità del pubblico interessato al controllo?
E quale è il messaggio che con un comportamento omissivo si manderà alle imprese che verranno qui per eseguire i lavori?

I sottoscritti chiedono pertanto all’Autorità giudiziaria di procedere per il fatto esposto, riscontrabile nel comune di Salbetrand, alla individuazione dei reati commessi a fronte del d.lgs 152/2006 art 255 comma 1, riferito a chiunque abbandoni o depositi rifiuti pericolosi (con pene da 6 mesi a due anni e sanzioni da 2.600 a 26.000 euro) e dell’art 256 comma 1 e 5, per il trasporto di rifiuti pericolosi in assenza di prescritte autorizzazioni, anch’esso con pene da 6 mesi a due anni e sanzioni da 2.600 a 26.000 euro.

Si chiede che la eventuale richiesta di archiviazione di questo esposto venga comunicata agli esponenti all’indirizzo di Pro Natura Piemonte, via Pastrengo 13, 10128 Torino.

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