Nessuna penale da pagare se si rinuncia al TAV Torino-Lione

L’architetto Virano, commissario del Governo per la Torino-Lione, messo in difficoltà dall’esito delle elezioni, ha creduto opportuno dire che, nel caso di rinuncia a costruire la linea, l’Italia dovrebbe pagare una penale di un miliardo e seicento milioni di euro.

La tesi è priva di fondamento: l’articolo 3.4.1. del contratto di finanziamento stipulato tra l’Unione Europea, ed i governi Italiano e Francese il 5 dicembre 2008 dice che: “Il beneficiario del contributo può sospendere i lavori se vi sono circostanze eccezionali che li rendono impossibili od eccessivamente difficoltosi, in modo particolare in caso di forza maggiore”.

In questo caso, come specificato nel paragrafo seguente, se i lavori non riprendono entro due anni, dalla data originariamente prevista, l’Unione Europea cancellerà il contributo.

La restituzione dell’aiuto europeo erogato dal contratto, è ammessa come possibilità, ma è estremamente difficile che l’Unione Europea voglia gravare su Italia e Francia che hanno già un saldo negativo nei suoi confronti e, comunque, l’Unione Europea si è sempre dimostrata estremamente benevola nelle clausole del contratto.

In ogni caso, anche se manca un aggiornamento da parte della Direzione Generale TEN-T dell’Unione Europea, che si attende per i prossimi giorni, la cifra in questione sarebbe meno di 100 milioni in totale per i due paesi. I contributi precedenti al 2007 sono stati dati come stanziamenti e sono ben oltre i quattro anni in cui potrebbero esserci ripensamenti.

Niente da pagare, invece per la liquidazione di LTF che era in calendario già per il 31 gennaio 2010, e per la cui chiusura il piano finanziario non prevede spese specifiche.

Per quanto riguarda i nostri rapporti con la Francia, il costo sostenuto sino ad oggi per la Torino-Lione è poco più di 800 milioni, così ripartiti: poco più del 30% ciascuno, rispettivamente per Italia e Francia, e circa il 40% a carico della Unione Europea.

Di questi:

1. Il 55% sono i costi delle tre discenderie fatte in Francia.

2. Il 3% sono spese per i sondaggi ed il cantiere della Maddalena fatti in Italia.

3. Il 40% sono i costi di progettazione in Italia e Francia e la direzione dei lavori in Francia.

Come si vede, le spese per lavori fatti in Francia, e pagati in parti uguali dai due paesi, al netto del contributo europeo, sono state quasi 20 volte maggiori di quelle fatte in Italia, anche grazie ad aumenti di costi pesantissimi e probabilmente discutibili.

In caso di chiusura sarebbe certamente difficile chiedere alla Francia un riequilibrio per quanto è stato speso, perché la gestione comune della CIG (Commissione Inter Governativa) permette molta elasticità, ma i 112 milioni stanziati originariamente per la discenderia di Venaus ed incamerati da LTF per finire quella di Modane, andrebbero quasi tutti restituiti all’Italia.

Anche l’affermazione del commissario del Governo, Virano, che “sarebbe un peccato rinunciare ad un’opera che per il 65% è pagata da altri” merita di essere riportata alla realtà.

La percentuale di contributo europeo che Virano continua ad immaginare del 40%  è ancora del tutto ipotetica, ricordando che l’Unione Europea dispone, per i lavori veri e propri, dei finanziamenti molto più bassi rispetto a quelli fissati per “studi e progetti”. Poi Virano divide la parte restante (nella sua ipotesi) tra Italia e Francia secondo le percentuali stabilite del 58% all’Italia e 42% alla Francia: con questo calcolo si arriva al 35% detto.

Ma Virano dimentica di dire che dei circa 60 Km di galleria e parte comune, l’Italia ne ha nel suo territorio solo il 20%.

Quindi l’Italia pagherebbe il 35%, e anche per i quattro quinti dei costi dell’opera che è sul territorio francese: non è certo un buon affare… Ed è un caso più unico che raro!

Non rimane che augurarci che il prossimo Parlamento voti quella proposta di Legge che comporta la responsabilità civile dei funzionari e delle autorità politiche che, per i settori di loro competenza, danno cifre manifestamente con corrette, espresse in modo da ingenerare inganno nel pubblico e produrre con questo la deviazione dell’utilizzo delle risorse dello Stato.

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